Immaginazione e scrittura: dalle lezioni americane di Calvino
Vedere le parole o vedere attraverso le parole? Potrei riassumere in questo modo il mio punto di vista sulla quarta lezione americana di Italo Calvino, intitolata Visibilità.
L’immaginazione di uno scrittore e di una scrittrice ha tre grandi compiti. Il primo, aiutare a creare la trama, a dare forma alla storia. Il secondo, ricostruire ciò che il personaggio vede, pensa, sente, sogna e come agisce, anche immedesimandosi in lui. Il terzo, portare tutto questo al lettore, attraverso una scrittura creativa fluida, efficace e senza smagliature. Una scrittura, cioè, che trasmetta realmente ciò che lo scrittore ha veduto nella mente e con gli occhi dell’immaginazione e ciò che ha creato nel modo in cui lo vuole esprimere, descrivere e rendere sulla pagina.
Il linguaggio delle immagini al servizio del linguaggio verbale
Qual è il rapporto tra l’immaginazione e la scrittura? Detto in altra maniera, come si traduce il linguaggio delle immagini nel linguaggio delle parole? E come diventa una trama e poi una storia completa e conclusa?
L’immaginazione è uno strumento di conoscenza. Secondo Jung è un attingere agli archetipi, alle verità preesistenti del mondo per farle diventare realtà. Per Calvino è il «repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che non è né stato né forse sarà ma che avrebbe potuto essere». È, quindi, l’insieme delle possibilità fantastiche che, a un certo punto, diventano l’impronta, sotto forma di figure, per lo sviluppo di una storia.
Calvino ci descrive il suo metodo per pianificare una storia: all’origine di ogni suo racconto, c’è una prima immagine, si potrebbe dire un fotogramma iniziale, che, per qualche motivo, per qualche ragione, è colma di significato. Da quell’immagine, poi, ne nascono altre, che seguono alla prima e sono con questa in rapporto sequenziale, associato e correlato, oppure contrapposto. Sono le immagini a portare con sé il racconto, in virtù di ciò che significano e simboleggiano e di come si combinano tra loro. Implicito in questo tipo di ragionamento c’è il concetto di punto di svolta: ogni immagine rappresenta un momento preciso e focale della storia.
In questa prospettiva, inoltre, il fotogramma iniziale sostiene la premessa narrativa (o premessa drammaturgica), ovvero sostiene ciò che dà la direzione alla storia. Contiene l’idea fondamentale che dà vita a tutto l’impianto e alla narrazione o, almeno, ne contiene il seme destinato a germogliare, perché tutto ciò che accade successivamente dipende da quell’inizio, da quel motivo, da quel personaggio. Il primo fotogramma muove gli eventi, muove cosa avviene dopo.
In una storia, dunque, non basta la trama a reggere il racconto, serve una premessa narrativa e serve sempre anche un tema, cioè un concetto ideale che regga il passaggio da una scena all’altra, ma soprattutto che faccia da timone e da filo conduttore a tutto il racconto, perché è quello che accompagna lungo il cammino sino alla naturale conclusione degli eventi. La chiusura della storia, la sua fine, è la risposta alla domanda formulata con la premessa. La premessa narrativa viene sempre intravista dal lettore non appena comincia a leggere, la scopre man mano che procede con le pagine e da un certo punto in poi gli è chiara nella sua interezza. Fa parte del gioco tra lettore e scrittore. È la domanda fondamentale del libro cui, con la storia, si deve dare risposta ed è ciò che determina dove si sta andando. Il tema, invece, è la forza motrice (e accompagnatrice) della storia. Per fare un esempio tratto da un classico della letteratura, Orgoglio e pregiudizio, potrei scrivere la premessa narrativa in questo modo: cosa accade se una ragazza che vive di convinzioni personali forti e inscalfibili, di principi ferrei, di volontà forte e di abitudini incontra un ragazzo che le fa comprendere di poter essere amata e le fa desiderare l’amore vero, che infrange ogni calcolo e regola? Il tema, invece, è la forza dell’amore che supera ogni ostacolo, la capacità del cuore di cambiare sé stesso con intelligenza.

Quando nasce una storia?
La storia nasce quando ogni immagine si collega alle altre, quando è chiaro il perché di quel collegamento, quando da un piano di pura immaginazione si passa a un piano discorsivo, di stesura della trama e del testo. Dando alle immagini un ordine, un senso ma, soprattutto, una espressione attraverso le parole si arriva a sviluppare la storia.
Dapprima scrivere è semplice traduzione di immagini, poi il racconto prende forma e diventa testo, autonomo dalle immagini inizialmente viste. Da un certo punto in poi le immagini saranno al servizio della scrittura perché avranno terminato il loro compito iniziale. Sarà la scrittura a guidare la creazione della storia, il suo formarsi. Calvino fa cenno e riferimento a un fatto ben noto a chi scrive: in ogni stesura, arriva sempre il momento in cui diventa facile scrivere perché la storia è chiara, nella sua essenza, nella sua totalità e nei suoi dettagli. Sentir nascere dentro di sé la storia, ma, soprattutto, avvertire con certezza che ha assunto profondità e splendore è la felicità dello scrittore. È il momento in cui chi scrive è immerso nel testo. È il momento in cui la storia diventa appassionante e coinvolgente tra le mani dello scrittore, consapevole che lo sarà anche per il lettore.
La storia nasce anche da una frase
La storia nasce solo dall’immaginazione? Da una immaginazione che diventa parola? Ebbene, non solo. Calvino fa a questo punto della sua conferenza quello che, a mio avviso, è uno dei passaggi più belli di tutto il ciclo di lezioni. Un racconto, un romanzo può nascere da una frase letta da qualche parte, da un brano, da una pagina che ci colpiscono particolarmente, che esercitano una suggestione e un fascino che fanno scaturire una storia. Altrimenti detto, nascono da una folgorazione e dalla consapevolezza che ne nascerà una storia. Il libro può nascere da una idea pura, astratta e dal linguaggio scritto. Nasce dalle righe di un volume, dalla potenza delle parole, non da ciò che si è visto. Le immagini, le visioni, le scene, gli ambienti, i particolari verranno poi.
Il lavoro dello scrittore è un lavoro complesso
Il lavoro dello scrittore è un lavoro complesso: deve saper immaginare la storia, deve riuscire a vedere, attraverso le immagini che gli si presentano alla mente, le scene che poi andrà a tradurre in parole. È ricondurle in un disegno che ha una direzione ben precisa, razionale e logica. Vedere una storia non è solo immaginarla, è anche definirla. È scegliere, tra le tante possibili, la storia che meglio scorre, che è più divertente, che più piace, che lo scrittore giudica la migliore, secondo ciò che sta andando a costruire. È dare forma alla propria visione interiore. E solo le parole, nella loro bellezza, incisività, chiarezza, grazia, nella loro maestosità o delicatezza, e nella loro potenza, possono fare tutto questo.
Nota al post: le citazioni in apertura sono tratte da “Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio”, Einaudi 2015
Hai citato persino Jung….bellissimo!Spiegazioni eccellenti ☺️
Giuseppe grazie mille!! Felice di esserti stata utile. Grazie di cuore per il tuo commento <3 <3 <3