Nunquam periclum sine periclo vincitur
Numquam periclum sine periclo vincitur. Alla lettera: mai il pericolo senza pericolo è vinto. È la sentenza 568 della raccolta Sententiae, la collezione di massime e brevi brillanti aforismi del drammaturgo romano Publilio Siro. L’affermazione che ti ho proposto oggi è un invito ad affrontare i pericoli con coraggio, senza avere timore di rischiare, perché solo così si superano. Periclum può essere tradotto, oltre che con ‘pericolo e rischio’, anche con ‘prova, esperimento, tentativo’: il significato dell’aforisma non cambia. Nessuna prova può essere superata se non ci si mette alla prova e non ci si confronta con essa, così come nessun tentativo può riuscire se, per l’appunto, non si tenta. Corrisponde, grossomodo, al nostro detto “chi non risica non rosica”.
Dal punto di vista retorico, l’aforisma è costruito su un poliptoto. Il poliptoto è una figura retorica che consiste nel ripetere una parola già usata a breve distanza cambiandone la funzione morfo-sintattica. Nelle lingue antiche, come il latino, e nelle lingue moderne flessive si ottiene modificando uno o più di questi elementi: il caso, il genere, il numero, il modo e il tempo. Nelle lingue non flessive, invece, si modifica la funzione sintattica.
Nel caso di «Nunquam periclum sine periclo vincitur» il sostantivo periclum, che è soggetto della frase, viene ripetuto subito dopo in un caso diverso (l’ablativo retto da “sine”) e come complemento.

Chi era Publilio Siro
Publilio Siro era un mimo e drammaturgo di origine siriana, nato nel 93 a.C. e giunto a Roma nell’83 come schiavo acquistato da un liberto, che poi guadagnò la libertà. Raggiunse la popolarità grazie al suo talento di autore e recitatore di Mimi. I Mimi appartenevano alla letteratura teatrale comica ed umoristica romana. Erano una rappresentazione di scene di vita quotidiana ottenute ricreando in modo realistico l’ambiente di tutti i giorni, attraverso una combinazione di linguaggi artistici: l’imitazione dei gesti, le espressioni del volto (a differenza della commedia non era previsto l’uso della maschera), la musica, la danza, il dialogo.
I Mimi erano spettacoli pieni di battute, di giochi di parole, di aforismi, di figure retoriche e Publilio si rivelò un compositore di Mimi pieno di inventiva e dotato di una grande capacità di improvvisazione. Le sue attitudini gli valsero la vittoria nella sfida col collega Decimo Laberio. Publilio, infatti, fu chiamato a Roma da Giulio Cesare in occasione dei giochi trionfali del 46-45, istituiti per celebrare le sue imprese militari. Secondo le fonti storiche, Cesare esortò Publilio e Laberio a fronteggiarsi in una sorta di sfida. Liberio componeva i Mimi solo dopo un’accurata preparazione ed essersi preso il tempo necessario per scriverli, mentre Publilio amava l’improvvisazione sul palco. Fu, quindi, facile per lui avere la meglio sul rivale.
Dei Mimi di Publilio sono rimasti pochi frammenti, mentre è arrivata sino a noi la sua raccolta, arguta ed efficace, di Sententiae, da cui il detto di oggi è tratto.