Quando ci si complica la vita, la soluzione è essere semplici
Capita che, scrivendo, ci si complichi, e soprattutto senza volere, la vita. Pur con tutte le buone intenzioni, si scrivono testi inestricabili, con involuzioni (invece di evoluzioni), il cui significato è oscuro, indefinito (anche se sembrasse che ci fosse, in realtà non c’è) e il senso inafferabile.
Di solito capita perché si hanno poche idee, oppure si ha troppa fretta di raccoglierne, senza soffermarsi a riflettere su quanto trovato a sufficienza: un sovraccarico di stimoli e spunti non adeguatamente filtrati e rielaborati. Altre volte è perché si cerca la perfezione e ci si pone come obiettivo questa e non i contenuti e come fare in modo che risultino comprensibili al lettore. La perfezione così diventa un concetto astratto o una categoria irreale, un’ideale irraggiungibile e, soprattutto, sposta la prospettiva da ciò che conta davvero. Ogni volta che lo scopo del testo non è chiaro, inevitabilmente si finisce fuori carreggiata e si scrive, si scrive… senza sapere dove si sta andando.
La soluzione? La semplicità e prendersi del tempo. Chiedersi «Cosa sto scrivendo?» e «Perché? Per chi?». Trovare la risposta alle domande: cosa voglio scrivere? Che messaggio stanno portando le mie parole? Non avere timore. Iniziare con poco, senza avvitarsi intorno a ragionamenti sui mille risvolti che è necessario imprimere a un testo (e ne avrà tanti, e sarà una naturale conseguenza derivata da tutto ciò che stai scrivendo) e su come “dovrebbe” essere un testo. Scrivere con la fiducia che danno il desiderio e la volontà di farsi capire e comprendere e la meraviglia delle parole.